Parola di Mr. What Women Want
Care amiche; prima di parlare dell’argomento di questa settimana permettetemi di prendermi la libertà di qualche riga per ringraziarvi sinceramente per la fiducia e per l’attenzione che avete riservato a questa rubrica, che ha rappresentato una vera e propria sfida editoriale, perché ha voluto fornire alle lettrici un punto di vista nuovo, diverso, ovvero come sapete quello maschile, in un magazine storicamente rosa. E’ stata una scelta originale e molto coraggiosa, dagli esiti tutt’altro che scontati. Il merito va alla giovane direttrice di questa testata, Ludovica Bonini (“la Ludo” per gli amici), persona intelligente, autoironica e lungimirante che ha voluto scommettere su questi contenuti così diversi dal solito. Ma il merito va anche e soprattutto a voi, che settimana dopo settimana avete avuto la bontà, la pazienza e lo spirito autocritico necessario per andare oltre l’inutile e un po’ stupida contrapposizione preconcetta uomo-donna di casa in troppi salotti mediatici, ed ascoltare un punto di vista differente, magari a volte difficile da condividere ma sempre autenticamente sincero e costruttivo. E settimana dopo settimana l’indice di gradimento si è impennato come le notti di un quindicenne, fino a raggiungere con “la femminilità perduta” circa duemila contatti giornalieri, facendone l’articolo più letto in assoluto per gran parte della settimana, e sfondando alla fine il muro dei diecimila contatti.
Non so davvero che dire, se non grazie, grazie, e ancora grazie.
L’unica cosa che mi viene in mente è forse l’eco di quelle persone (uomini e donne) che tante, troppe volte raccontano a loro stesse prima ancora che agli altri che se un progetto non si è realizzato, se un lavoro non è arrivato, se un colloquio non è andato bene o se un amore non si è coronato, se … se… se…. Allora “vuol dire che non era destino”.
Beh, col cavolo. Se avessi aspettato che il destino esaudisse i miei desideri, a quest’ora sarei vergine, e di certo disoccupato. Le cose non vengono affatto da sole; “succedono” perché c’è qualcuno che fortemente, pervicacemente, caparbiamente fa di tutto affinché succedano.
E così anche in amore. Quando due sguardi si incrociano sulla metropolitana, quando le mani si sfiorano su un ascensore, quando un uomo e una donna stanno per la prima volta seduti uno di fronte all’altro al tavolino di un bar a parlare a raccontarsi, per conoscersi, avvicinarsi, beh tutto questo succede perché qualcuno ha superato la paura del rifiuto, del fallimento, e ha deciso di mettersi in gioco, di rischiare, di giocare il tutto per tutto, e di vedere come va a finire. Certo la paura c’è, e c’è sempre; ma d’altronde il coraggio non è mai stato la mancanza di paura, ma la consapevolezza che c’è qualcosa di più importante della paura stessa. E allora stringi i denti, fai un respiro lungo, e vai; e mentre il telefono squilla, mentre la fermi per strada per la prima volta, mentre aspetti che risponda al tuo invito, al tuo messaggio, il battito del cuore ti rimbomba nelle orecchie, la saliva in bocca scompare, le mani sudano freddo, e il respiro accelera. Ma l’hai fatto; ci hai provato, ci hai provato fino in fondo e, vada come vada, non potrai mai chiederti “come sarebbe stato se”, “what if”.
Una vita di “what if” non è una vita, sono solo giorni uguali ai giorni.
Questo non vuol dire, sia chiaro, che basti volere qualcosa per ottenerla, perché solo le ragazzine immature, presuntuose, bellocce e per la verità un po’ stronze pensano “io quello che voglio me lo prendo”.
La vita è un’altra cosa. Però le cose non vengono da sole, perciò, come disse Will Smith in quella che forse è la sua più toccante interpretazione, “se vuoi qualcosa, vai e inseguila”. A volte riuscirai e altre volte no, ma almeno avrai tirato fuori gli attributi, e potrai dormire il sonno dei giusti.
Buona settimana. E ancora una volta, grazie.
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7/4/2015