Un progetto racchiude obiettivi, aspettative, una missione, diverse missioni… Un’ideale, una speranza, una modalità di vivere, una roccaforte di punti focali. E noi vogliamo parlare di un progetto.
È il Blindly dancing – danzare ad occhi chiusi.
“LA DANZA E’ UN’ARTE UNIVERSALE.
CHIUNQUE PUO’ DANZARE, LE DIVERSITA’ SONO LIMITI CHE CI PONIAMO DA SOLI.
IL PROGETTO BLINDLY DANCING UNISCE LA DANZA CON LA MANCANZA DEL SENSO DELLA VISTA.
FA SCOPRIRE NELL’OSCURITA’ NUOVE SENSAZIONI ED EMOZIONI E PERMETTE A TUTTI DI
IMPARARE A BALLARE IN UN CLIMA DI INTEGRAZIONE E UGUAGLIANZA, ALLEGRIA E VOGLIA DI
STARE INSIEME!”
Quello riportato è il pensiero di Elena Travaini, insegnante di danze caraibiche e promotrice, insieme al compagno e ballerino Anthony Carollo, del progetto che ha nel cuore dei suoi obiettivi il desiderio di raggiungere un vasto numero di persone per presentare le potenzialità non solo della danza, ma attraverso essa, il movimento, la musica, la sintonia di intenti e di interessi, le capacità latenti dell’uomo.
Cercare di far emergere dal buio la luce dell’unione, della consapevolezza dell’altro e soprattutto di sé stessi.
Elena ha trovato una possibilità nella danza considerata alla stregua di un favoloso strumento. Anzi un attributo inscindibile dall’uomo. La cecità o semicecità diventa dunque un modo per apprendere e approfondire un argomento e un approccio, quello della danza, che ad occhi chiusi permette un’apertura mentale e anche spirituale.
Elena ci ha raccontato l’inizio di questo percorso che ha visto la sua nascita in Olanda, da una circostanza fortuita:
“Il progetto e’ partito dall’olanda per caso. Ho parlato con un amico, nonché allievo mio e di Anthony, del sogno di voler intraprendere lezioni aperte a tutti senza diversificazioni per categorie di persone. Questo mio amico lavora tra l’America l’Olanda e l’Italia. Durante una conversazione che aveva come argomento proprio l’Olanda, è uscito fuori un episodio del mio passato. Quando ero piccolissima, a soli due mesi, sono stata presa in cura proprio in Olanda all’ospedale di Amsterdam.
Questa scoperta ha avuto come immediata conseguenza il verificarsi di una proposta da parte del mio amico, il quale mi ha detto: perché non fai partire il progetto da lì?
È stata un’idea che ho accolto con entusiasmo, infondo loro mi hanno aiutata a vivere… e io ora posso ridare indietro qualcosa. Qualcosa che prende la forma (ma soprattutto la sostanza) della danza che reputo un modo per stare insieme, per divertirsi e per abbattere le barriere.
Le persone hanno apprezzato moltissimo non solo il progetto, lo stage, le lezioni e il clima che si e’ venuto a creare ma anche (e in modo insolito) la storia che ci stava dietro.
Ad oggi, so che ogni raggiungimento ottenuto è stato possibile non solo grazie alla mia caparbietà, ma anche, e ad un livello speciale e toccante, grazie alle persone che hanno creduto in me e nella mia idea!“
È un percorso che ha solo tre mesi di cammino; il primo workshop avvenuto in Olanda, che è riuscito a raccogliere circa una quarantina di partecipanti, tra non-vedenti, ipovedenti e normovedenti, è stato l’inizio e la prima tappa di un viaggio.
Il 3 maggio, a Milano Marittima, si è svolto il primo loro grande stage di danza al buio. È stato un evento che ha suscitato grande interesse, ammirazione e stupore da parte non solo dei partecipanti (circa un centinaio), ma anche del pubblico.
Il viaggio continua, il tempo passa e ci spostiamo a Mendrisio, dove il 14 maggio si è tenuto il secondo stage.
È un percorrere, è uno spostarsi, è toccare diversi luoghi, diverse menti, diversi occhi, diversi cuori. Ma è sempre un cambiamento di luogo e un avanzare di tempo, non è mai un mutamento di finalità.
Il 24 maggio, insieme al suo compagno, hanno partecipato ad un importante evento, dove gli organizzatori dei più grandi congressi di danza del mondo hanno selezionato le coppie che saranno ospiti nei loro congressi. La loro partecipazione ha come obiettivo quello di riuscire a farsi scegliere per poter parlare del progetto a livello mondiale.
Innumerevoli le tappe toccate. Firenze, New guglia d’oro, Sassuolo, Scalea, Amsterdam, Rotterdam, Lieden, Nijmegen.
Parlare di viaggio non è solo una mera metafora. Il progetto, partito a febbraio, al momento prosegue con autofinanziamenti, con tutte le difficoltà del caso.
Quando qualcuno inizia a camminare, perché sa di dover raggiungere una meta ben precisa, un traguardo circoscritto da onori e grazia, non può contemplare l’idea di un arresto.
Se uno stop deve esserci, è solo per riposare, riprendere le forze, capire la giusta direzione da prendere.
Se l’intento è nobile dovrebbe essere scontato ricevere appoggi e sostentamenti. Io credo.
“Stiamo rischiando di dover abbandonare la cosa. Per mancanza di fondi…ci finanziamo da soli, aiutati dal sostegno di pochi amici. Le finanze non sono più molte” e l’impiego di denaro è necessario per poter portare a compimento un progetto di tale spessore.
di Chiara Mura