Care lettrici, in questo nuovo appuntamento prenderò in esame il tema del congedo di maternità, vale a dire il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice connesso, appunto, alla maternità di figli naturali, adottivi ed in affidamento.
Il nostro ordinamento, attraverso il “Testo unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della paternità” ovverosia il decreto legislativo 23 marzo 2001 n. 151 (e successive modifiche), al fine di tutelare il sereno svolgimento dei compiti legati alla maternità ed evitare ogni discriminazione di genere, pone delle regole a tutela del diritto ad essere madre attraverso la previsione di un congedo obbligatorio.
L’astensione obbligatoria dal lavoro comprende il periodo intercorrente tra i due mesi che precedono la data presunta del parto e i tre mesi successivi; questo periodo, come ricorda l’articolo 20 del Testo Unico, è comunque flessibile: infatti, alle lavoratrici è data la possibilità di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente alla data presunta del parto, utilizzando il mese non goduto dopo la nascita del figlio. L’astensione viene riconosciuta alla lavoratrice anche nel caso di interruzione della gravidanza, purché avvenga dopo il 180° giorno di gestazione e nel caso in cui il bambino, purtroppo, muoia alla nascita. In questo caso però, la donna che ne beneficia, sempre che ciò non arrechi danno alla sua salute, potrà riprende in qualsiasi momento l’attività lavorativa.
Il decreto considera anche il trattamento economico a favore delle lavoratrici, prevedendo, per tutto il periodo del congedo, un’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione. L’indennità è prevista anche a favore delle donne che si trovino sospese, assenti senza retribuzione o disoccupate. Ovviamente, durante il periodo di congedo, la donna non potrà svolgere un’attività lavorativa e, nel caso in cui la svolga, non avrà diritto ad alcuna indennità. Questa previsione si lega alla finalità primaria per cui è stato concepito il congedo: assicurare un periodo di sospensione dell’attività lavorativa per dedicarsi alla cura del bambino.
In ultimo, con il decreto del 2001, il legislatore ha voluto tutelare anche quelle donne che, per impossibilità di avere figli propri o semplicemente per scelta, decidano di adottare o prendere in affidamento un minore. Nel caso di adozione viene concesso un periodo di congedo stimato in un massimo di cinque mesi che potrà essere utilizzato durante i primi cinque mesi di inserimento del minore nel nucleo familiare anche se, in caso di adozioni internazionali, parte di questo periodo potrà essere utilizzato anche prima dell’ingresso in famiglia del minore. Nel caso, invece, di affidamento di minore, la lavoratrice potrà usufruire del congedo per un periodo massimo di tre mesi.
Il congedo di maternità si presenta quindi insieme, ad esempio, al divieto di licenziamento operante dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno di età del figlio, come un mezzo necessario per tutelare la donna sia nella sua veste di lavoratrice sia di madre, impedendo discriminazioni che precluderebbero di fatto la sua presenza nel mondo del lavoro.
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avv. Marco Viadana (Studio legale associato Spelta Viadana)
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